La luce del primo pomeriggio illuminava l'intera sala. Le enormi vetrate che si affacciavano su un limpido cielo settembrino dilatavano lo spazio più di quanto già non fosse.
Lei godeva del tepore del sole, seduta in una bianca poltrona ad un tavolino, si stava concedendo un attimo di relax, anche dal libro che, stancamente, aveva poggiato sulle gambe. Con gli occhiali da sole poteva scrutare fuori senza che il riverbero la infastidisse, guardare il mondo da quell’ altezza l'affascinava, come l'idea di esser così lontana dal cielo che era abituata ad osservare eppure sentire questo ugualmente familiare. Con un sorriso tornò alla lettura ma in quel momento una voce maschile richiamò la sua attenzione.
Era un ragazzo sulla trentina, anche se non poteva giurarci. I lineamenti asiatici le suggerivano che non era uno straniero, come lei, e che poteva dimostrare meno anni di quanti realmente ne avesse. Chiuse lentamente il libro assicurandosi di tenere il segno con la foglia di Ginko Biloba, raccolta durante la gita al tempio qualche giorno prima, “quando questa vacanza era all'inizio” pensò e un ombra di malinconia le sfiorò il viso. Si voltò verso lo sconosciuto sorridendo cortesemente.
Era vestito sobriamente, completo scuro e cravatta, soltanto la camicia faceva trapelare un nonsoché di casual, di informale. Lui si inchinò più volte salutandola con tutte quelle “cortesie” proprie della loro cultura, poi si presentò, o almeno così le parve di capire, porgendole l’immancabile bigliettino da visita. Lei lo prese e lo osservò, anche questi era stranamente sobrio ma informale, scritta bianca su fondo nero, e particolari giochi di forme che non riconobbe.
Si affrettò a prender dalla borsetta un astuccio di metallo, lo aprì con un click e ne trasse fuori uno dei suoi bigliettini. Per fortuna ne aveva preparato qualcuno in vista di occasioni simili. Lo guardò un istante. Pensandoci bene quell’argento su campo azzurro, con un ramo di ciliegio appena abbozzato, le sembrava troppo frivolo, ma quando lo aveva disegnato le era piaciuto così tanto e ora non aveva molta scelta.
Lo porse all’uomo che la osservava incuriosito, lui lesse il suo nome e parve volesse memorizzarne ogni lettera, ma forse si stava solo chiedendo come si pronunciasse.
Si tolse gli occhiali da sole per osservare lo sconosciuto senza filtri, era di bell’aspetto, e un po’ più alto della media, lui, probabilmente sentendosi osservato, sollevò la testa e i loro occhi s’incrociarono, lei sorrise nuovamente, divertita questa volta, e lo vide arrossire impercettibilmente.
Fu soltanto un attimo, un attimo d’intimità, solo un secondo di confidenza al di là di luogo e tempo.
Poi arrivò il momento che lei aveva temuto. Lui le rivolse qualche parola, ma lei non capì,!
Provò a chiedere, parlandogli in inglese, in che modo potesse aiutarlo, scusandosi per non riuscire a comprenderlo.
Per tutta la durata di quella splendida vacanza, lei aveva lottato con la scomoda sensazione che si prova a visitare un paese di cui non si conosce la lingua.
Un'indicazione, un semplice saluto, persino scusarsi per un casuale urto diventava un'operazione incredibilmente complicata. Inoltre, in questo splendido paese, le persone che conoscevano l'inglese erano davvero poche, mentre quelle che parlavano la sua lingua erano praticamente inesistenti.
Un’espressione perplessa si dipinse sul volto dell’uomo, poi il suo sguardo s’incupì. Lei fece un’ulteriore tentativo, ma era evidente che non esisteva punto s’incontro.
D’improvviso una voce squillante attirò la sua attenzione, lei si voltò, e vide le sue amiche farle segno di andare.
Fece un cenno di assenso e si alzò. Infilò nuovamente gli occhiali e il mondo si tinse di un sottile velo scuro.
Quel semplice gesto bastò affinché la barriera culturale, che si era creata tra di loro, divenisse insormontabile e sancì la fine di quella curiosa conversazione.
Lei raccolse il libro e le sue cose, s’inchinò e sorrise cortesemente.
Le uniche parole che conosceva nella lingua di lui erano scuse e saluti, le usò entrambe, augurandosi di esser stata abbastanza referenziale. L’uomo fece altrettanto, borbottando qualcosa che lei non comprese.
Si voltò senza esitazioni e si avviò verso le due donne che la stavano aspettando. Quando le raggiunse una delle due le fece cenno di voltarsi. Alle sue spalle c’era l’uomo di poco prima, in evidente imbarazzo e un tantino trafelato. Lei fu colta dallo stupore ma sorrise ugualmente.
Questa volta lui non provò nemmeno a parlarle, le prese delicatamente una mano e le poggiò sul palmo una foglia di Ginko Biloba. Lei sgranò gli occhi, le bastò un secondo per capire che le era scivolata via dalle pagine del libro, la guardò e i suoi occhi si fecero dolci.
Spostò lo sguardo sullo sconosciuto e lo ringraziò di cuore, regalandogli il più bel sorriso che lui avesse mai visto.
Per lei quello era un ricordo importante...
“ いつかきっと かっさらいに行く もっとお前に ふさわしい俺になって ”*
... Avevano appena finito la prima parte di quella lunghissima riunione, in cui lui si era prodigato nello spiegare a tutti le idee per la nuova stagione. Lavoro e ancora lavoro, ormai si era buttato a capofitto in questo progetto, non c’era tempo per altro, non voleva tempo per altro…
Ma era veramente così?!
Da qualche anno la sua vita aveva preso una piega interessante, ma continuava a mancargli qualcosa. Sentiva, sempre di più, di esser incompleto.
Solo le giornate di lavoro intense, come questa, riuscivano a tenerlo lontano dal pensiero della sua immagine riflessa nello specchio al mattino, quando, dopo una notte insonne, solo, in quel enorme letto, vedeva un uomo solo, con i capelli arruffati e la barba incolta. Non capiva perché, ma quell' immagine di sé lo innervosiva.
Si era concesso qualche momento di pausa, giusto il tempo di un the e poi sarebbe tornato nella bolgia.
Metter d’accordo tante personalità forti era sempre un’impresa, ma lui ci riusciva, in un modo o nell'altro, nonostante nessuno lo sapesse, era lui il cuore del gruppo.
Guardò fuori il cielo senza nuvole, quell'autunno si prospettava particolarmente mite, era sicuro sarebbe riuscito a godere di qualche assolato giorno di riposo, qualche solitario, assolato, giorno di riposo.
Quasi odiò il sole che, sorridente e caldo, illuminava la sala con i suoi benevoli raggi. Tutto sembrava avvolto da un alone magico, il tempo era sospeso in quell’ istante di quiete. Complice anche la quasi assenza di persone.
Non era un periodo di alta affluenza turistica e i divani erano deserti.
Tutto era avvolto in un ovattato silenzio.
Il suo sguardo si posò sull’unica altra persona nella sala, oltre a lui.
Una giovane donna, vestita in modo leggero e un poco “scollato”, in pantaloncini e camicia. Portava i capelli sciolti che le cadevano sul viso, lo sguardo nascosto dietro occhiali da sole alla moda.
Stava leggendo un libro, probabilmente era straniera, nonostante non riuscisse a scorgerne il taglio degli occhi, il colore chiaro dei capelli e le forme morbide, non lasciavano spazio a dubbi.
La stava fissando da un po’, più incuriosito che interessato. Gli unici avventori del luogo erano loro due e lei non si era accorta di lui, quindi, probabilmente, non sapeva di esser osservata. Tutto intorno a lei sembrava rarefatto, un gioco di luci e colori che sbiadivano i contorni. D’improvviso aveva messo da parte il libro, alzato il volto a guardare, davanti a se, il cielo fuori dalle vetrate. Aveva spostato una ciocca di capelli dietro l’orecchio lasciando intravedere il collo, le labbra si erano socchiuse come colte da sorpresa.
Lui non poteva vedere i suoi occhi ma tutto lasciava immaginare lo sguardo estasiato con cui si stava godendo del panorama.
Si scosse all’improvviso trovando se stesso a bocca aperta con gli occhi ancora fissi sulla donna. Fu preso dal desiderio di conoscerla, ma più forte ancora, era quello di poter scorgere lo sguardo dietro quegli occhiali da sole.
Si fece coraggio e l’avvicinò.
Non era solito prendere questo tipo di iniziative e presentarsi ad esponenti del sesso opposto.In queste situazioni diventava goffo e timido e solitamente faceva delle figure non proprio brillanti. Tentennò un attimo, l’unica lingua che sapeva parlare era la propria, come avrebbe fatto?!
Ci stava ancora pensando quando si ritrovò di fronte alla straniera senza nemmeno sapere come ci era arrivato, lei lo stava guardandolo con un sorriso cortese.
Si presentò e allungò, con una certa rigidità, il proprio bigliettino da visita, era quello del lavoro e sperava fosse abbastanza sobrio.
Lei lo prese dalle sue mani sfiorandole appena e un brivido gli corse lungo la schiena. Gli diede uno sguardo veloce e poi trasse fuori da un astuccio in metallo, un cartoncino azzurro, con un disegno delicato e due righe con nome e numero.
“Ora conosco il suo nome” pensò entusiasta, senza chiedersi perché un nome potesse mandarlo così su di giri.
Voleva chiederle chi fosse, se era reale, quanto sarebbe rimasta, se poteva sperare di rivederla, se poteva sapere com’erano i suoi occhi, ma qualunque parola avesse pronunciato lei non lo avrebbe compreso.
“Ma chi voglio prender in giro, non avrei mai il coraggio di dirle una sola di quelle cose, anche se capisse le mie parole”
Pensò ancora più avvilito, poi tornò in se, stava tenendo tra le mani ancora il bigliettino da visita e doveva esser sembrato matto. Alzò lo sguardo verso di lei ed ebbe un tuffo al cuore.
Non sperava il suo desiderio venisse esaudito così presto.
Due profondi occhi verdi lo fissavano incuriositi e il sorriso dipinto sul volto li rendeva ancora più luminosi. Per un’ istante il tempo si fermò, e tutto il resto perse di significato.
Si presentò nuovamente e le chiese di che nazionalità fosse, lei lo osservò perplessa e imbarazzata si scusò.
Sentirle pronunciare quelle poche parole nella propria lingua gli fece uno strano effetto, come se fosse la prima volta che sentiva qualcuno scusarsi.
Poi lei gli parlò in una lingua che non era la sua, forse inglese, probabilmente gli stava dicendo che non riusciva a capire, ma lui era nella stessa situazione.
“Non possiamo comunicare!” Questa consapevolezza arrivò dritto al cuore come uno spillo.
Una voce dall’ingresso ruppe l’imbarazzante momento, qualcuno la stava cercando. Fu sollevato di constatare che non si trattava di un uomo.
La donna si infilò nuovamente gli occhiali da sole e la magia svanì.
All’improvviso era come se un velo scuro si fosse impossessato di tutta la luce.
Lei gli sorrise ancora cortesemente, ma quel sorriso gli parve spento in confronto a quello che gli aveva regalato qualche momento prima. Si inchinò in automatico e bofonchiò un saluto.
La osservò allontanarsi di buon umore e lo turbò l’idea che quella separazione pesasse soltanto a lui.
“Idiota! Potevi almeno provarci!” si rimproverò
“Un’occasione... vorrei soltanto un’altra occasione!” supplicò un dio sconosciuto.
Stava fisso, immobile ad osservarla allontanarsi di schiena quando dal libro che lei portava con se scivolò fuori qualcosa, si affrettò a raccoglierlo, era una foglia di Ginko Biloba...
“Grazie!” sussurrò e si affrettò a raggiungerla.Quando lei si voltò il suo sguardo era visibilmente sorpreso, ma non mancò di sorridergli, questo gli diede il coraggio di prenderle la mano e posarvi dentro la foglia.
Lo sguardo che lei gli regalò lo riempì di gioia. Non importava quanto sarebbe stato complicato o come sarebbe andata, voleva assolutamente che questa sconosciuta entrasse a far parte della sua vita e avrebbe fatto di tutto perché ciò avvenisse!
*“ In qualche modo un giorno verrò a prenderti: quando sarò più degno di te. ”