sabato 13 ottobre 2012

Il sasso adagiato sul fondo del lago.

Si potrebbe definirmi un classico caso da psicoanalisi. Cresciuta con il desiderio di piacere e farmi accettare: da un padre che mi ha abbandonata per un'altra donna, da una madre costretta a ricoprire "due ruoli", da compagni di classe che guardavano solo l'aspetto esteriore, da amici che mi consideravano "quella simpatica", da una società in cui l'esser figlia di divorziati era sinonimo di diventare una sbandata, continuamente, costantemente con il terrore di non esser accettata.
Ho così maturato un io camaleontico, capace, all'occorrenza, di trasformarmi in tutto ciò che servisse.
L'amica che ascolta sulla cui spalla piangere, la compagna a cui chiedere aiuto per i compiti, la figlia a volte ribelle a volte accondiscendente ma studiosa e della quale vantarsi agli incontri con i professori, perchè nessuno osasse dire che mia madre da sola non facesse un buon lavoro nell'educarmi. La sorella maggiore, punto di riferimento ma anche complice di malefatte, "l'amica di" che ti fa anche da ruffiana, l'appassionata di calcio, musica, scacchi, elettronica, arte e ogni qualsiasi argomento servisse all'occorrenza. 
Un caleidoscopio di volti e passioni, tutte utili certo ad accrescere la cultura personale, ma tutti contemporaneamente talmente diversi da tesser fila sempre più fitte, difficili da districare, tanto da sentirsi persi al loro interno. E di fondo, l'ansia, come una melodia, a tenere sempre in tensione questi altri me.
Non fingere di essere, badate bene, ma essere ognuno di questi "personaggi", perchè in ognuno di questi me c'ero io. Nessuno di loro aveva meno entusiasmo o passione nel fare quello che facevano gli altri realmente interessati all'argomento, non era poi nemmeno così faticoso per me.
Talmente radicato nel mio essere che mutare aspetto o anche solo adattarmi alla situazione mi riusciva così... naturale!
E poi, nel sottobosco, c'era l'altra me, quella dell'inconscio se vogliamo chiamarla così. La persona che sarei stata o che sarei se avessi lasciato la mia natura andare tranquilla senza preoccuparmi del "approvazione degli altri". 
La bambina che non ha mai avuto l'occasione di essere una bambina, di fare la principessa e di sbattere i piedi per capriccio fino a veder esaudito ogni suo desiderio. La bambina che non poteva chiedere la luna senza preoccuparsi di quanto costasse, l'adolescente che non ha fatto la civetta o si è comprata le scarpe alla moda. La figlia che si concedeva il lusso di essere capricciosa.
Una me egoista, calcolatrice, che con il tempo è diventata talmente astuta da prevedere le azioni "del nemico con due o tre mosse di anticipo", insicura, sospettosa, sola.

Non so quando le due cose sono diventate una, questi due mondi sono cresciuti assieme e si sono fusi in modo così radicato tra loro che ormai non è più possibile capire, nemmeno per me, dove finisce l'uno e comincia l'altro. Entrambi guidano i miei passi come quelli di una marionetta, a volte mi sembra di poter osservare la mia vita solo come spettatore mentre "quello che sono" prende il sopravvento. Da qui nasce questa mia instancabile fiducia negli altri che si contrappone al pretendere da essi più di quanto possano o vogliano darmi, da qui nasce il profondo sospetto quando un solo, insignificante gesto, mina questa fiducia. Da qui nasce la facilità di aver a che fare con la gente e contemporaneamente non sentirsi realmente partecipi delle loro vicende. Da qui nasce questa maledetta sensazione di inadeguatezza verso tutto ciò che mi circonda. Questo sentirsi continuamente fuori contesto, continuamente senza un reale interesse. Da qui deriva, probabilmente, la volubilità delle mie "passioni". Quegli hobby ai quali riesco a dedicare non più di qualche anno e che poi svaniscono nelle nebbie del tempo come vacui ricordi.
È causa di questo mio ambiguo essere che un costante malessere accompagna i miei giorni?! 
Non riuscire a godere pienamente di qualcosa temendo che sia il riflesso della passione di qualcun altro. Non riuscire ad aprirsi veramente a qualcuno temendo che sbirciare su questo me così complesso e oscuro possa fare il vuoto intorno più di quanto, da sola, non faccia come meccanismo di difesa?!
È faticoso quando a una parte di te non frega nulla del mondo e che andassero tutti a fanculo, mentre l'altra parte anela ai consensi degli altri, al "brava" davanti a qualcosa di realizzato da te...
È dura quando non sapere quello che si vuole non riguarda il "cosa vuoi fare da grande" ma il "cosa sei realmente".

E poi le parole: "Sei una persona buona." "Sei una cara amica." "Sei una persona speciale." "Puoi farcela, puoi riuscire, io credo in te."
Perchè tutte queste persone credono in me più di quanto io stessa ci creda. Escludendo una buona parte di quelle che lo dicono per convenzione sociale, ce n'è una, seppur minuscola rappresentanza, che ci crede davvero, ma perchè!? Cos'è che vedono in me che io non vedo? Forse sono anche loro ingannati da quell'immagine che ho imparato così bene a creare da non rendermi conto nemmeno di quando la indosso?
C'è qualcuno che mi conosce davvero... no, la domanda coretta è: Ho mai concesso a qualcuno di conoscermi davvero?!

Con questo delirante monologo credo di averle detto di me più di quanto in tutta la mia vita abbia mai detto persino a me stessa, spero che questo la convinca di quanto il mio essere sia adatto ad intrecciarsi con le spire della Tribù. Confido nel suo supporto maestro Kikuta. Con ossequiosa referenza, suo servo!